martedì 20 dicembre 2011

Terrore dell'abbandono e psiche ferita in "Io mi taglio" di Carlotta Bocchi (Gazzetta di Parma, 20/12/2011)


Incidere il tormento nella carne, perché nelle ferite non è il corpo, ma l’anima stessa a sanguinare, ed il sangue è come lacrime, dense di rabbia e disperazione. Io mi taglio. Diario di una borderline (Tabula Fati) è la prima esperienza letteraria di Carlotta Bocchi, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale specializzata nella cura dei disturbi alimentari, e di Cassandra, pseudonimo di una sua paziente. Non si tratta di un’autobiografia, bensì di una storia che, ispirandosi a vissuti reali, illustra le caratteristiche del Disturbo Borderline, nonché il sofferto itinerario terapeutico fino al miglioramento. Il diario, che copre un anno e mezzo di terapia, permette al lettore non solo di seguire, ma di vivere nelle corde più profonde i progressi e i regressi della protagonista, le sue sofferenze più intime. In pagine intense la giovane riversa se stessa e le sfaccettature caoticamente laceranti che definiscono il disturbo. L’instabilità dell’umore che, con la violenza di un’onda, innalza e fa sprofondare, le relazioni tumultuose con gli altri, ora idealizzati, ora svalutati, i picchi emotivi incontrollabili – il deficit nel gestire le emozioni conduce a reazioni estreme, dall’ira all’autolesionismo –, i tentativi di suicidio. L’autostima della protagonista è spesso compromessa, l’immagine che essa ha di sé è convulsa e distorta; ora è attanagliata dal pensiero della propria insensatezza; ora è logorata dalla brama di una non umana perfezione. Poi il senso di vuoto terrifico, il terrore dell’abbandono, e le abbuffate per riempire questo vuoto e gli estenuanti digiuni, quasi a concretizzare nel corpo la volontà di dissolversi. E in fondo, inesorabilmente, una delirante sofferenza. Inestirpabile, finché, grazie agli strumenti terapeutici, non diviene possibile fare passi avanti, intervenendo sui pensieri negativi, sui comportamenti più disfunzionali, esponendosi al rischio di cadere, ancora e molte volte, alla paura di distaccarsi da una malattia che si è quasi cucita sulla pelle. Ma, infine, come una luce salvifica, l’accettazione di se stessi. Il convivere con sé senza più distruggersi. I mostri non scompaiono, ma si impara ad affrontarli, e si spianano le ali – prima tarpate – verso la vita.

Isabella Bonati

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