domenica 21 novembre 2010

PRESENTAZIONE di Vito Moretti a "EleVateMenti"

Questa raccolta di racconti, in linea con il precedente romanzo di Bernava, si presenta come un insieme di scenari perduti e ritrovati dalla memoria, scenari di vita reali, rimasti sul filo della biografia e riproposti con la loro prepotente carica di significatività, a rammentare che i giuochi dell’esistenza rimangono sempre aperti all’orizzonte dei sentimenti, all’alternativa dell’anima e ai quesiti profondi del cuore e degli affetti, senza tuttavia dimenticare che proprio attraverso il silenzio, o magari nel mezzo d’un soffio breve di vento, o anche per una parola giunta di lontano chissà come e chissà per quali segrete corrispondenze, si può dar luogo ad un livello di maggiore intimità con se stessi e con il mondo.
Che è pure la via — questa — sulla quale torna a farsi urgente il richiamo dell’etica: il bisogno di rintracciare, sotto i cambiamenti del vissuto, le ragioni della bontà, della correttezza e della rettitudine, cioè quelle stesse ragioni che spingono a non tradire mai — pur dopo tanto affaticarsi — il calore dell’amicizia, le energie del perdono e l’impeto della giovinezza, presenti in ogni età e in qualsiasi latitudine.
Ed è proprio in questa prospettiva che i racconti di Bernava si fanno occasioni originali di confronto e di riflessione, e permettono di trasferire quelli che in apparenza sembrano essere solo astratti scenari narrativi in qualcosa di più serio e di più incisivo: in nuclei speculari di fatti e realtà del mondo contemporaneo, in frammenti di condizioni oggettivamente riscontrabili nell’universo sociale della vita odierna, in cui taluni (o forse molti) sperimentano loro malgrado la solitudine, la marginalità, l’abbandono, il dolore ingiusto delle tante privazioni, ed altri (troppi) sono esposti anche ai ricatti dell’inautentico, alle maschere del fittizio, al giogo della mercificazione e all’arroganza dell’egoismo più opportunistico.
Di qui il richiamo di Bernava a guardar bene e a fondo le cose, a non aver timore di aprirsi ai sentimenti migliori e a credere che esista non soltanto la notte, o il buio che occulta, ma anche e soprattutto l’alba, per chi sappia imporsi il desiderio di guardare dinanzi a sé; a credere al giorno, con la sua luce rivelatrice, e a pensare che l’attesa non sia mai un tempo vano, bensì un modo per instaurare cambiamenti e per ritrovare la propria identità più vera.
I racconti, dunque, proprio mentre auspicano — sulla necessaria consapevolezza del cambiamento — un diverso rapporto con il mondo e con gli uomini, spingono via via l’autore a riflettere anche — come si diceva — sulla vita sua, calata, sì, nel presente, ma proiettata per un verso nella direzione del passato, della biografia divenuta ricordo (con gli episodi più esemplari) e, per altro verso, nella direzione del futuro, dove si snodano — in un “viaggio” carico di altre singolarità — i pensieri e le metafore di un intelletto diviso fra certezze e speranze e dove si manifestano le tensioni di un’anima che sa, nondimeno, quanto costi tutto questo, quanto sia duro il cammino su ogni nuovo sentiero e di che prezzo sia la scelta della coerenza e dell’autenticità.
Ecco, allora, che alle “storie” del fuoco e dell’acqua («storie di ultimi», della «grande dignità degli ultimi», e «storie di chi resta», della «pioggia che inonda» e che «cangia»), sopraggiungono quelle della terra e dell’aria (storie di «sere d’inverno», scolpite «nella carne e nei cuori», e storie che «nascono in punti disparati» che «spesso si incontrano»), per rappresentare vicende che si raccolgono nelle voci di persone lontane e vicine, accomunate dai loro drammi e insolite nelle loro capacità di essere e di dire e persino di proporre soluzioni a chi — chiuso nel suo arido spicchio di mondo — resta ad osservare e a giudicare: una piccola umanità di personaggi veri e concreti che — necessitata comunque a vivere — trova non solo la rabbia e la denuncia, il proprio mestiere di vincoli e passioni, ma spesso l’ironia, la smagliatura provvidenziale che tacita l’angoscia, il legame che imprime tuttavia un segno positivo ai costrutti avversi della storia e che, di volta in volta, le consente pure di irridere la cattiva fortuna e di essere persino vittoriosa nella sconfitta.
E in ciò è — a lettura ultimata — il pregio di questo libro, la sua forza specifica ed incomparabile che ne fa, dunque, l’esplorazione lucida ed arguta d’un mondo — quello nostro — che altri dicono razionale e ben lustro di approdi, e che invece lo scrittore, utilizzando gli strumenti del racconto storico-biografico, mostra nelle sue reali fenditure e nei suoi drammatici smacchi.

Vito Moretti



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