domenica 21 novembre 2010

PRESENTAZIONE di Arturo Bernava

Si fa un gran parlare, di questi tempi, di “diversità” e di “integrazione”, con continui richiami alla necessità di un confronto, se possibile pacato, ma comunque sempre inteso in un ambito di contrapposizione.
Riteniamo il “diverso” qualcuno che ci si pone di fronte, mai a fianco o addirittura dentro di noi.
Ed ecco, invece, che Daniela Miscia ci ricorda (ad alcuni addirittura lo svela) che la “diversità”, e l’incontro con essa, è parte integrante del nostro processo di crescita.
Il cortile, coraggiosa opera prima, assurge al ruolo di apologia della diversità e della richiamata necessità di integrazione, proprio perché essa nasce e si incontra in uno dei luoghi più personali dell’esistenza di ognuno di noi: la propria casa.
Daniela Miscia ci accompagna in un percorso dove il diverso, lo sconosciuto (e tutto ciò che comporta) diventa una parte integrante della nostra esistenza, nel momento in cui ci costringe a superare le nostre barriere psicologiche e anche (perché no?) fisiche. Quante volte, infatti, ci si chiude paurosi e pieni di ansia nelle nostre abitazioni, con la porta ben serrata e attenti a non lasciar filtrare alcune elemento di disturbo? Salvo poi, commettere l’errore madornale di aprire, proprio lì, nelle nostre case, una finestra falsa e destabilizzante chiamata televisione. Una finestra che esalta, dicono, i tanti vizi ed i pochi pregi della nostra società.
Per fortuna l’autrice non commette l’errore, molto facile peraltro, di esprimere definitivi giudizi moralistici su questa discutibile società attuale, ma anzi se ne dichiara in qualche modo vittima. Sono le stesse parole della protagonista, di fronte all’invadente incedere di una degna rappresentante dei nostri tempi (tutta apparenza e mondanità), a denunciare la difficoltà di opporre una qualche resistenza.
La protagonista, moglie, mamma e lavoratrice modello (almeno così crede all’inizio) è consapevole del fatuo che la circonda, dell’inutilità e della cattiveria dei tanti pettegolezzi futili, delle maldicenze gratuite e dei pregiudizi insensati. Ne è consapevole, eppure appare inizialmente incapace di opporvi un netto rifiuto, sentendosi, anzi, in qualche modo inferiore a quel mondo basato sulle apparenze.
I guru dell’informatica vogliono farci credere di aver inventato la cosiddetta “realtà virtuale”, ignari del fatto che essa è già stata inventata da tempo immemore da un’altra macchina tanto perfetta quanto un computer: il nostro cervello.
E così, il cervello della protagonista, minato dal virus del fatuo e del falso, comincia ad elaborare fantasie destabilizzanti per il suo rapporto di coppia e, principalmente per se stessa.
Saranno gli occhi di un bambino (anzi di più bambini) a rendere giustizia di questo teatrino dell’assurdo. Non avverrà improvvisamente, ma attraverso un percorso lento, spesso ostacolato dagli adulti, che non riescono a vedere il mondo proprio con quegli occhi puliti di chi, ancora ignaro della grettezza che li circonda, usa solo il cuore per guardare oltre le apparenze. Sono quegli occhi che restituiscono dignità anche agli stessi adulti, a quelle persone che si riscoprono Uomini e Donne (con le iniziali maiuscole e non intesi come scimmiottatori televisivi) in un finale che sa di denuncia e di provocazione.
Perché di fronte a tutti gli avvenimenti in cui l’autrice con abile capacità narrativa immerge il lettore, l’unico ingrediente che riporta giustizia al nostro essere umani è proprio la dignità. Ritrovare la propria dignità, grazie al pianto di una bambina, spazza via ogni incertezza e restituisce la giusta dimensione alla nostra vita. E dico “nostra” perché è questa la sensazione che si ricava leggendo questo romanzo. Un immedesimarsi mutevole, non in uno solo dei protagonisti, ma ora nell’uno, ora nell’altro. In un puzzle multicolore in cui vorremmo soltanto ritrovarci nel giocoso correre di due bambini che coltivano la loro amicizia, o nel pianto di una neonata che, apparentemente sola, scopre l’amore gratuito e disinteressato di chi ritrova il senso della propria vita.

Arturo Bernava

PRESENTAZIONE di Vito Moretti a "EleVateMenti"

Questa raccolta di racconti, in linea con il precedente romanzo di Bernava, si presenta come un insieme di scenari perduti e ritrovati dalla memoria, scenari di vita reali, rimasti sul filo della biografia e riproposti con la loro prepotente carica di significatività, a rammentare che i giuochi dell’esistenza rimangono sempre aperti all’orizzonte dei sentimenti, all’alternativa dell’anima e ai quesiti profondi del cuore e degli affetti, senza tuttavia dimenticare che proprio attraverso il silenzio, o magari nel mezzo d’un soffio breve di vento, o anche per una parola giunta di lontano chissà come e chissà per quali segrete corrispondenze, si può dar luogo ad un livello di maggiore intimità con se stessi e con il mondo.
Che è pure la via — questa — sulla quale torna a farsi urgente il richiamo dell’etica: il bisogno di rintracciare, sotto i cambiamenti del vissuto, le ragioni della bontà, della correttezza e della rettitudine, cioè quelle stesse ragioni che spingono a non tradire mai — pur dopo tanto affaticarsi — il calore dell’amicizia, le energie del perdono e l’impeto della giovinezza, presenti in ogni età e in qualsiasi latitudine.
Ed è proprio in questa prospettiva che i racconti di Bernava si fanno occasioni originali di confronto e di riflessione, e permettono di trasferire quelli che in apparenza sembrano essere solo astratti scenari narrativi in qualcosa di più serio e di più incisivo: in nuclei speculari di fatti e realtà del mondo contemporaneo, in frammenti di condizioni oggettivamente riscontrabili nell’universo sociale della vita odierna, in cui taluni (o forse molti) sperimentano loro malgrado la solitudine, la marginalità, l’abbandono, il dolore ingiusto delle tante privazioni, ed altri (troppi) sono esposti anche ai ricatti dell’inautentico, alle maschere del fittizio, al giogo della mercificazione e all’arroganza dell’egoismo più opportunistico.
Di qui il richiamo di Bernava a guardar bene e a fondo le cose, a non aver timore di aprirsi ai sentimenti migliori e a credere che esista non soltanto la notte, o il buio che occulta, ma anche e soprattutto l’alba, per chi sappia imporsi il desiderio di guardare dinanzi a sé; a credere al giorno, con la sua luce rivelatrice, e a pensare che l’attesa non sia mai un tempo vano, bensì un modo per instaurare cambiamenti e per ritrovare la propria identità più vera.
I racconti, dunque, proprio mentre auspicano — sulla necessaria consapevolezza del cambiamento — un diverso rapporto con il mondo e con gli uomini, spingono via via l’autore a riflettere anche — come si diceva — sulla vita sua, calata, sì, nel presente, ma proiettata per un verso nella direzione del passato, della biografia divenuta ricordo (con gli episodi più esemplari) e, per altro verso, nella direzione del futuro, dove si snodano — in un “viaggio” carico di altre singolarità — i pensieri e le metafore di un intelletto diviso fra certezze e speranze e dove si manifestano le tensioni di un’anima che sa, nondimeno, quanto costi tutto questo, quanto sia duro il cammino su ogni nuovo sentiero e di che prezzo sia la scelta della coerenza e dell’autenticità.
Ecco, allora, che alle “storie” del fuoco e dell’acqua («storie di ultimi», della «grande dignità degli ultimi», e «storie di chi resta», della «pioggia che inonda» e che «cangia»), sopraggiungono quelle della terra e dell’aria (storie di «sere d’inverno», scolpite «nella carne e nei cuori», e storie che «nascono in punti disparati» che «spesso si incontrano»), per rappresentare vicende che si raccolgono nelle voci di persone lontane e vicine, accomunate dai loro drammi e insolite nelle loro capacità di essere e di dire e persino di proporre soluzioni a chi — chiuso nel suo arido spicchio di mondo — resta ad osservare e a giudicare: una piccola umanità di personaggi veri e concreti che — necessitata comunque a vivere — trova non solo la rabbia e la denuncia, il proprio mestiere di vincoli e passioni, ma spesso l’ironia, la smagliatura provvidenziale che tacita l’angoscia, il legame che imprime tuttavia un segno positivo ai costrutti avversi della storia e che, di volta in volta, le consente pure di irridere la cattiva fortuna e di essere persino vittoriosa nella sconfitta.
E in ciò è — a lettura ultimata — il pregio di questo libro, la sua forza specifica ed incomparabile che ne fa, dunque, l’esplorazione lucida ed arguta d’un mondo — quello nostro — che altri dicono razionale e ben lustro di approdi, e che invece lo scrittore, utilizzando gli strumenti del racconto storico-biografico, mostra nelle sue reali fenditure e nei suoi drammatici smacchi.

Vito Moretti



lunedì 1 novembre 2010

Anteprima: IL CORTILE di Daniela Miscia

Daniela Miscia
Il cortile
Presentazione di Arturo Bernava
Copertina di Antonio D'Erasmo
Edizioni Tabula fati
[ISBN-978-88-7475-209-6]
Pag. 200 - € 14,00


Clelia è bella, intelligente, spigliata. Ha un marito attraente, intelligente e colto, di successo, e un figlioletto di cinque anni, assolutamente perfetto. Clelia desidera più di ogni altra cosa essere una donna di classe e circondarsi da cose che glielo ricordino costantemente, quasi fosse quella condizione “perfetta” un rifugio da paure e ansie che non è mai riuscita a placare.
Maddalena è bella, ricca e spregiudicata. Ha un marito che ha il doppio dei suoi anni e un figlioletto nato dalla prima unione. Maddalena desidera più di ogni altra cosa la normalità ma lo nasconde, insieme alle sue quotidiane paure, dietro un atteggiamento arrogante e malizioso.
Flora è una donna appagata e serena. Ha un marito musicista e un figlio che adora. Non c'è nulla che Flora desideri oltre alla serenità che già possiede e che spande intorno a sé.
Tre donne, tre vite diverse giocate secondo principi quasi antitetici, che allontanano Clelia e Maddalena da Flora perché non risponde ai canoni che si sono prefissate.
Permettere ad altri l'ingresso nella propria esistenza governata dall'apparenza e dalla mondanità potrebbe alterare in Clelia, ancorché lievemente, la percezione di ciò che fino ad allora è sembrato buono e giusto, ma buono e giusto non è.
L'accettazione del diverso assume allora una valenza enorme e invalicabile, come i gradini che dividono due abitazioni, due famiglie, due vite, per ricomporsi solo alla fine, seguendo le ragioni del cuore.

Anticipazione: "EleVateMenti" di Arturo Bernava

Quattordici racconti, narrati dai quattro elementi della filosofia greca. Fuoco, acqua, terra e aria, raffinati cantori dell’amore, della morte, della gioia e della sofferenza. E poi il Vate che canta la sua terra, canta alla luna e incita i suoi conterranei ad elevare le menti e le anime, per volare alto sulle miserie del mondo.
Un gioco di parole, ele vate menti. Ma che cosa sono le parole se non la risultante di un gioco magico, chiamato poesia?


Arturo Bernava
EleVateMenti
Presentazione di Vito Moretti
Copertina di Massimiliano Reggi
Edizioni Tabula fati
[ISBN-978-88-7475-208-9]
Pag. 144 - € 11,00

http://www.edizionitabulafati.it/elevatementi.htm