mercoledì 23 maggio 2012

Lettera di un lettore


Gent.le dott.ssa Bocchi,

mi chiamo D. Ho letto il suo libro "Io mi taglio. Diario di una borderline" e volevo ringraziarla per aver dato voce a quello che le persone affette da questa patologia provano ed al loro percorso per riuscire a convivere con essa. La sospensione del giudizio e lo sforzo di capire che l'essenza delle persone che abbiamo di fronte spesso non coincide con l'immagine che di loro ci siamo fatti già prima di conoscerle nel loro profondo sono atteggiamenti che si dovrebbero applicare sempre nella vita, ma in questi contesti sono ancor di maggior importanza per non ferire ulteriormente queste persone.

In quest'ultimo periodo ho cercato di leggere molto su questo disturbo (e tra qualche riga capirà il perché), ma al di là di molte descrizioni tecniche, non ho mai trovato chi desse voce all'animo di queste persone e al faticoso percorso che è possibile intraprendere per riuscire a guardare al futuro con speranza.

Non sono quindi arrivato casualmente a leggere il suo libro, ma in seguito ad una esperienza che mia moglie ed io abbiamo vissuto negli ultimi mesi e che personalmente mi ha suscitato molte domande a cui, in questo periodo, con difficoltà sto tentando di dare risposta. Mia moglie ed io non abbiamo figli e da un po' di tempo abbiamo iniziato il percorso dell'adozione. Durante questo percorso abbiamo conosciuto una comunità di minori che stiamo da qualche mese frequentando con una certa regolarità come volontari e che ci ha permesso di venire a contatto con le realtà di bambini ed adolescenti in difficoltà. E' in questo contesto che abbiamo conosciuto R., una ragazza di 15 anni, che ha iniziato a manifestare i comportamenti che lei descrive nel suo libro. Dopo un paio di episodi gravi in cui è stata pericolosa per sé e per gli altri bambini della comunità, è stata ricoverata in ospedale dove le è stato diagnosticato il disturbo borderline di personalità. R. ha una situazione familiare alle spalle molto difficile; una mamma con problemi psichiatrici, un padre alcoolista e lei che passa da una comunità all'altra. Le siamo state particolarmente vicino in questo periodo che ha trascorso in ospedale. Ora R. è stata dimessa e trasferita in un'altra comunità. Motivo: salvaguardare gli altri bambini all'interno della comunità. R., ci è stato detto, non ha bisogno di una comunità educativa (quella dove l'abbiamo conosciuta), bensì di una comunità terapeutica, di un luogo dove possa essere seguita con un rapporto uno a uno. I medici consigliavano un incontro giornaliero con uno psicologo oltre alla terapia farmacologica. Sta di fatto che oggi lei invece è stata trasferita in un'altra comunità educativa con le stesse caratteristiche di quella dove era. Questo perché i servizi sociali competenti ritengono errata la diagnosi fatta (non voglio pensare che sia solo un motivo economico). Ora noi non sappiamo dove lei sia, non abbiamo possibilità di contattarla per sapere come sta. Il messaggio è stato chiaro "recidere tutti i rapporti con lei". Un messaggio che non ci è stato comunicato apertamente, ma tra le righe.

Ora non credo sia nell'interesse di R. troncare tutte le relazioni instaurate, soprattutto se queste relazioni sono positive (ho avuto modo di conoscere alcune compagne di classe e di vedere il bel rapporto che si era instaurato tra lei e le altre compagne; ho parlato più volte con la rappresentante della sua classe, una signora veramente in gamba che ha capito la situazione e ha saputo gestire questo momento difficile; la direttrice della scuola aveva preparato la classe all'arrivo a suo tempo di R.); mi chiedo cosa penserà R. in seguito a questo ennesimo abbandono? E R. era molto sensibile a questo aspetto. Pensi che in un paio di occasioni ci disse "Ma voi quando avrete adottato un bambino verrete ancora a trovarci? Lo so che non verrete più a trovarci.".

Quale futuro può aspettarsi R.? Cosa possiamo fare noi per il suo futuro, per farle capire che la vita non è fatta solo di continui schiaffi in faccia? Queste sono le domande a cui non so dare risposta e che mi fanno provare un senso di impotenza che non riesco a placare.

Le sarei grato se mi potesse dare un suo parere.

Grazie

Diego

P.S.: un grazie anche alla sua co-autrice Cassandra. La profondità delle emozioni e dei pensieri di queste persone sono di gran lunga superiori ai problemi che il loro disturbo a volte comporta, anche se non va sottovalutato. Una profondità che non è semplice trovare, nemmeno tra le persone “normali”, ma che sempre più spesso scopro nelle persone “speciali”. In bocca al lupo.

 
Carissimo Diego, innanzitutto complimenti per la vostra profondità d'animo, la vostra sensibilità e generosità. il mondo sarebbe migliore se esistessero più persone come voi. Purtroppo capisco bene il senso di impotenza che si prova in determinate situazioni ed è terribile! Non so rispondere alle sue domande perché ci vorrebbe una sfera di cristallo per farlo, ciò che penso però è che la ragazza avrebbe bisogno di una clinica specializzata. E avrebbe bisogno di persone che le vogliono bene e che le dimostrano che non verrà più abbandonata. Per tutti l'abbandono è causa di sofferenza, immagini per queste persone che percepiscono un costante senso di vuoto interiore!
Mi auguro con tutto il cuore che R. incontri persone competenti che la riescano ad aiutare e persone che comprendano la sua situazione e le vogliano bene.
Grazie della sua lettera:, fa comprendere i motivo per cui abbiamo scritto questo libro. Io e Cassandra ci siamo dette: se riusciamo anche solo ad aiutare una persona il nostro obiettivo è raggiunto! Far capire e conoscere il Disturbo Borderline, far sentire le persone che ne soffrono meno sole raccontando una storia "vera" (mosaico di tante storie vissute), far capire la sofferenza che provano e dare un messaggio di speranza. Infatti, se seguiti adeguatamente, con un percorso specialistico ad hoc, si migliora e si può vivere una vita migliore!
Dott.ssa Carlotta Bocchi

lunedì 21 maggio 2012



Salone Internazionale del Libro
Torino
12 Maggio 2012